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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza e Via Celimontana (Monti-Celio) (La piazza è limitata a Nord da via Annia e a sud dal Largo della Sanità Militare; la via, da via Annia a via di San Giovanni in Laterano)

Il Celimontium” l’antico “Querquetulanis” ha dato il nome alla strada [1] ed alla porta che doveva trovarsi qui, sempre che le tracce delle mura di cinta serviane, siano quelle che sono state trovate ai lati dell'arco di Dolabella.

L’andamento generale del recinto, edificato da Servio, raggiungeva, attraverso il Celio, la Porta Capena e la porta Celimontana [2] che doveva aprire la via per il Tuscolo.

Costruita la nuova cinta muraria da Aureliano (270-5), la Porta Asinaria [3], come si deduce dalle tracce della Via Celimontana, apparse più volte nella sua direzione, sostituì la Celimontana dell'antico recinto e dalla quale, secondo il Canina, usciva la via Tuscolana [4].

La Porta Querquetulana[4bis] era la seconda porta del Celio [5] che, come dice Tacito (Ann. IV, 65):  “non sarà fuor di proposito annotare che quel monte si disse, ab antico, Querquetulanis perché era di querce selvoso e fecondo. Venne poi chiamato Celio da Caeles Vibenna, capitano d’Etruschi, che chiamato e venuto in aiuto aveva avuto quella residenza da Tarquinio Prisco, o da alcun altro dei Re. Ché in ciò solo dissentono gli scrittori”.

Abitò sul Celio, Mamurra, “prefetus fabbrum” di Giulio Cesare in Gallia. Fu la sua casa, fra le prime ad essere decorata da colonne massicce di marmo lunese e caristio, e con le pareti impellicciate di marmi.

Durante la Repubblica poco abitato, il Celio [6] si ha notizia che comprendesse, per quanto riguarda edifici pubblici, un Tempio votato da Giunio Bruto alla dea Carnea nel primo anno della Repubblica (509 a.C.), di cui si ignora l'ubicazione sul colle, mentre il tempietto in onore di “Minerva capta” (241 a.C.) doveva essere sulla via Celimontana forse alla base dell'altura dei Santi Quattro, dove pure, più tardi (145 a.C.), C. Lucio Mummio,  dedicò, nei pressi, un tempio ad Ercole Vincitore, dopo la conquista dell’Acaia e l'espugnazione di Corinto.

Popolatosi alquanto verso gli ultimi anni della Repubblica, ebbe poi anche abitazioni e ville signorili; qui, sulla Piazza, ora Celimontana, nell'area adesso coperta dall'ospedale militare [7] abitarono i Nicomachi e i Simmachi oppositori in senato della religione cristiana [8].

Il partito di Simmaco non solo  chiedeva il ripristino dell'Ara della Vittoria in Senato, ma domandava pure che si potesse sacrificare alle immagini degli Dei  a nome dello Stato e che da esso fossero restituiti le pensioni e i privilegi a tutta l’intera famiglia dei Numi.

Nella loro casa vi fu scoperta, in mille pezzi, forse quando la casa fu invasa nel 394 dal popolo, una Vittoria che non è quella della Curia.  

Il “Celimontium[9] diventò con Augusto la seconda regione dell'Urbe, arricchendosi di edifici pubblici e privati [10] durante l'impero.

L'incendio del 27 e quello del 64 lo danneggiarono molto, ma nel II secolo erano in fiore le ville patrizie e fu appunto in quella della madre Domizia Lucilla che il 26 aprile del 121 nacque Marco Aurelio.

Nel III sec., dal Celio all'Esquilino si formò una vasta zona di fertili piantagioni alla quale hanno concorso, con gli antichi orti di Mecenate [11], quelli posteriori dei Lamia, dei Laterani, insieme agli orti di Gallieno, Vario e Pallante.

Ma nel V secolo dal 24 al 27 agosto del 410 le orde di Alarico devastarono la regione del Celio [12].

Le ulteriori invasioni, susseguitesi nel secolo V e VI, lo resero quasi inabitato, anzi i Goti [13] vi stabilirono il loro quartiere generale, che si stendeva a sud-est sul Celio e sull’Esquilino, fin verso la villa imperiale “ad duos lauros” e verso “Centumcellae”.

Il tentativo di ripresa, nel IX secolo, con la ricostruzione di chiese e conventi fu annullato dall'incendio e dalle stragi di Roberto il Guiscardo nel 1085.

Né valse alla regione del Celio il fervore ricostruttivo delle chiese, nel XII, XIII e XIV secolo. La sola zona del Celio, dove case e traffico conservarono una qualche intensità, fu lungo la Via Papale o Maggiore.

Il Rinascimento fece della zona una miniera da cui sottrarre marmi, statue ed ogni cosa artistica e decorativa che poteva essere portata alla luce.

E allorché Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), col suo acquedotto, ebbe portato l'acqua sui colli, tornarono a rifiorire le ville.

Qui a Piazza Celimontana, dov’è ora l'ospedale militare, fu il giardino dei Teofili fin dagli ultimi decenni del XVI sec, e nella zona sorsero le ville dei Fonseca, dei Mattei ecc., mentre il resto fu vigna ed orti di congregazioni religiose in gran numero, e di privati.

Tale situazione durò fino al 1870, quando l'ingrandimento della città si svolse anche in questa parte.

La Basilica Hilariana [14] - Nel 1889, negli scavi delle fondazioni dell'ospedale militare sul Celio, si rinvennero alcuni avanzi di un importante edificio che non fu possibile portare completamente alla luce.

Quel che lo rende più singolare è una figurazione che decorava il presunto vestibolo: un occhio umano, trafitto da una freccia, che porta su di esso appollaiata una civetta. Un toro, due leonesse, uno scorpione, un becco, un cervo, un serpente, un corvo e una colomba si slanciano sulla civetta, inferocite come volessero dilaniarla.
La spiegazione è nell'iscrizione: "Intrantibus hic deos propitios et basilicae Hilarianae” (Gli dei possono favorire qui entra in questa basilica Hilariana).

Questo scongiuro era rafforzato da quattro piedi graffiti sulla soglia, due nel senso di entrare e due in quello di uscire, per rendere più sicuri i visitatori della basilica.

Un cippo di marmo trovato nell'atrio, ha rivelato che il fondatore della basilica fu “Manius Publicius Hilarus margaritarius (commerciante di perle)”, con la carica di “quinquennalis” perpetuo della Magna Mater e di Attis, dei quali fu qui rinvenuto un santuario, grazie ad alcune iscrizioni,

__________________________

[1] )            La quale fu tracciata quando nel 1872 furono fissati i confini e lo svolgimento del quartiere Celio. L’antica via doveva fiancheggiare gli archi neroniani dell'acqua Claudia presso la villa Volkonski, dove lungo il percorso della via rinvenuta, sono stati scoperti sepolcri e quattro colombari a camera le cui iscrizioni li fanno riconoscere per quelli dei Claudii, dei Tullii e degli Octavii, con tutti i loro servi e liberti (attualmente inglobati nella “Villa Volkonski”, attuale residenza dell’ambasciatore di Gran Bretagna in Italia - Vedi Via Statilia - Monti).

[2] )            La casa dei “Pisones” era “ad portam Coelemontanam” e pure sul Celio quella dei “Tetrici" “contra Isium Metellinum” con pitture in onore di Aureliano (270-275). “In Vectilianas aedes” sempre sul Celio, fu ucciso l'imperatore Commodo (180-92) che vi si era trasferito dal Palatino, per sua sicurezza.

[3] )            Porta Asinaria - corrispondente alla Celimontana del recinto primitivo di Roma come si deduce dalle tracce della via Celimontana apparse più volte in direzione della porta Asinaria così chiamata dai possedimenti e da una villa degli Asinii vicini alla porta, come rilevasi dalle diverse iscrizioni ivi ritrovate.

[4] )            Via Tuscolana - non si sa se nell'antichità vi sia stata questa o se invece per andare direttamente da Roma a Tuscolo servisse il diverticolo, corrispondente al moderno viottolo che, staccandosi dalla via Latina al miglio 10º (Ciampino) raggiunge la via Tuscolana odierna presso villa Borsari. Il Canina, opinò che la via vi fosse stata e che uscendo prima dalla Celimontana e poi dall'Asinaria avrebbe seguito il corso dell’Appia nuova fino a Baldinotti e quindi quello dell'odierna Tuscolana fino a Frascati, facendo notare l'antico sepolcro del Monte del Grano, prossimo a porta Furba. Opinione condivisa da altri fra cui il Lanciani che presso il ponte della Ferrovia a Vermicino trovò un tratto lastricato di una via antica di bellissima costruzione. Altri ammettono l'esistenza della via nel secolo I dell'impero ed escludono tale esistenza sul finire della Repubblica, perché il sepolcro di Lucullo (Torrione di Micara) venne costruito, non in relazione alla Tuscolana, ma al diverticolo del 10º miglio.

[4bis]          La Porta Querquetulana doveva trovarsi all’altezza di via San Giovanni in Laterano.

[5] )            Si trovava prossima alla Navicella. Circa il nome è pure dubbia la tradizione che una colonia di Coelii etruschi abbiano abitato il colle. Le tre alture che lo componevano: “Coelius”; “Coeliolus”; “Succusa o pagus Succusianus” intermedia fra le due e per cui “olivus Sucusanus” era l'attuale stradone di S. Giovanni in Laterano e si chiamavano insieme “Coelimontium”. Secondo Livio (libro I, 30) il Celio fu abitato dai profughi della distrutta Albalonga. Tullio Ostilio (672-64 a.C.) per popolarlo vi fabbricò un palazzo dove fissò la sua dimora, poi folgorata da Giove (Livio I, 31).

[6] )            Il « Pagus Sucusanus fu il primo centro abitato del “Caelimontium”.

[7] )            Negli scavi fu trovato un Mithreo e gli avanzi della villa degli Anni.  Anche gli Elpidi e gli Anici abitarono il Celio.

[8] )            Ebbero Sant'Ambrogio (340-397) come antagonista.

[9] )            Si intende per Celimontium tutto il resto del Celio, con il Campo Laterano. Il confine a nord con la regione V era segnato da una via corrispondente alla via di S. Giovanni in Laterano, che fuori delle mura dava origine alla via Asinaria.

[10] )           Case di grande altezza come quella di Claudio Centumalo, che fu fatta demolire perché toglieva la vista agli Auguri.

[11] )           Ne estese la circonferenza di più di 2 km e mezzo. Una parte più antica, e l'altra chiamata da Orazio “horti novi”.

[12] )           Già nel 27 d.C. era stato danneggiato da un incendio e risarcito da Tiberio, perché solo la sua statua, che si trovava nella casa del senatore Giunio, era rimasta indenne. Fu proposto che il Celio si chiamasse Augusto (Tacito IV). Un'altra casa del Simmaco, in Trastevere, fu bruciata dal popolo, contrario alle sue idee, sotto Valentiniano (364-375).

[13] )           In questo quartiere essi possedevano le chiese Ariane di S. Agata e di S. Severino.

[14] )           Si tratta di un santuario di Cibele e di Attis, cui era associato un collegio di “dendrofori” (coloro che portavano rami d’albero in onore di Attis e di Cibele).

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